Anno 1981

È l’anno del debutto per gli spettacoli della neonata Compagnia de Calza «I Antichi» che l’antiquario veneziano Paolo Emanuele Zancopè ha fondato nel 1980. Il primo spettacolo si intitola Gran Balo macabro publico: El Trionfo de la morte e va in scena al Carnevale di Venezia, in campo San Maurizio, la sera di sabato 28 febbraio 1981. Il campo è gremito di folla, la festa–spettacolo, che è inserita nel programma ufficiale delle manifestazioni ed ha il patrocinio dell’amministrazione comunale, dura fino alle due della notte ed è un successo di pubblico e di critica. Al 26 gennaio dello stesso anno risale il primo documento ufficiale, firmato da Zancopè, che annuncia la nascita della Compagnia de Calza. Il suo statuto si richiama a quello del 1541 della Compagnia dei «Sempiterni».

C’era un vento quasi tiepido che faceva ballare gli scheletri dipinti sugli stendardi sopra il ponte, quella sera dell’ultimo giorno di febbraio. Campo San Maurizio, nel cuore di Venezia, era irreale e irraggiungibile. Irreale perché il buio era sceso e non c’era accesa una luce. Qua e là l’oscurità era spezzata da piccole lingue di fuoco di torce, di fiaccole e candele. Una musica catacombale, incalzante, di tamburi, cresceva ossessiva. Il campo era irraggiungibile. Una marea umana si accalcava, si stringeva, si spingeva, intorno a un grande ponte di legno dalla schiena curva come un vecchio animale preistorico, che era spuntato, come per magia, davanti al palazzo delle scuole. C’era tanta gente che non ci si poteva neanche muovere, e faceva quasi caldo. Le calli che portano al campo, dalla parte di San Marco e dalla parte di Santo Stefano, erano intasate, in un senso e nell’altro. Non si poteva più entrare né uscire. Quasi nessuno parlava, c’era un grande silenzio dentro quella musica antica, e un senso di attesa, inquieta, eccitata. Ma non succedeva niente, per un bel pezzo non successe niente. Solo la musica, sempre più ossessiva, di quei tamburi, e solo il vento, che piegava le fiammelle e muoveva le bandiere, gli stendardi e gli scheletri. Finché qualcuno gridò, tra la folla, e sul ponte cominciò a salire, lentamente, a passi piccoli e incerti, guardandosi attorno, una figura scura. Era alta, scheletrica, vestita di nero, sul volto aveva una maschera strana, che faceva paura. Aveva la faccia della morte, la morte dipinta in faccia. Nelle mani stringeva una falce, grande, curva come un arco, e la ruotava nel vento, con gesti ampi, regolari, a semicerchio, sopra le teste della folla. La sua lama, che luccicava come una luna, buttava intorno strani bagliori e tagliava il vento con un fischio. Quelli che stavano sotto al ponte chinavano la testa, qualcuno chiudeva gli occhi, altri arretravano, impauriti. Un frate grasso, che nascondeva un fallo enorme sotto la tonaca lisa, cominciò a versare da una botte del vino rosso come il sangue, i tamburi gridarono più forte.

Cominciò così a Venezia in campo San Maurizio, con il Gran Balo Macabro Publico denominato El Trionfo de la Morte, la straordinaria avventura della Compagnia de Calza «I Antichi», la più stravagante e originale combriccola del Carnevale più famoso del mondo. Erano le sette della sera di sabato 28 febbraio 1981.

La Compagnia de Calza, che si richiama alle omonime compagnie che organizzavano feste e spettacoli nella Venezia del 1400 e del 1500, quando in città se ne contavano più di cinquanta, tutte fedeli al motto di «divertire divertendosi», era nata nel 1980 come «Comitato promotore del Carnevale di Venezia» per contribuire, come gruppo di privati cittadini veneziani, 25 famiglie di ogni ceto sociale, alla ripresa della festa che stava rinascendo dopo due secoli di oblìo. Anche le Compagnie de Calza erano scomparse. L’idea di rifondarne una, ispirandosi agli antichi statuti, era venuta a uno dei più geniali e bizzarri personaggi che abbiano abitato nel ‘900 la città dei Dogi: l’avvocato veneziano Paolo Emanuele Zancopè, antiquario con bottega di vetri antichi proprio in campo San Maurizio, che era anche poeta, scrittore, attore, regista e ballerino, e nel corso della sua vita era stato rivoluzionario in Brasile e animatore delle scuole di samba. Alcuni anni prima, nel 1970, al suo ritorno a Venezia dal Brasile, aveva dato vita a uno spettacolo in campo Santo Stefano, Brasile mamma gentile, che già conteneva, per il coinvolgimento del pubblico e la presenza contemporanea di più luoghi di azione, alcune delle caratteristiche che poi avrebbero reso unici, e celebri in molti paesi del mondo, gli spettacoli della nuova Compagnia de Calza che Zancopè volle battezzare «I Antichi», nel senso del recupero e della rilettura, mai nostalgica ma creativa, colta e spesso trasgressiva, di storie, avventure e personaggi spesso ingiustamente trascurati. Un cocktail colto e popolare insieme, raffinato e volgare (nel senso migliore della parola), travolgente e affascinante. E proprio perché antico, e spesso dimenticato e mai più riproposto, nuovissimo.

«L’avvicinarsi del Carnevale sta portando vere e proprie bordate di storia patria rivissuta – scrive Carlo Montanaro sul quotidiano “Il Mattino di Padova” del 7 febbraio 1981 – è rinata infatti, tra le varie iniziative, anche una Compagnia de Calza battezzata «I Antichi». Il suo statuto si richiama a quello della Compagnia dei «Sempiterni» firmato il 15 marzo del 1541 da «Petri Landi Dei Gratia Incliti Venetiarum Ducis Anno III». Vi si legge: «Considerando che in la nostra tenera età, havemo dato principio ad amarsi da fradelli, e fra questa giovenil età se havemo conservadi in unidae, e benevolentia, non ni par de preterir el dimostrar ad ogn’uno per segno manifesto, e indisolubil vincolo della sempiterna amicitia nostra, senza la qual li Stati, li Imperij, e Republiche durar non possono. E però havendo deliberado de imitar le venerande vestigie dei nostri Progenitori, e lassar alli posteri nostri un Simulacro, e sempiterna memoria de l’animo nostro, per tenor de presente Publico Instrumento contraemo una Fraterna nominada Compagnia de Calza, da esser fondada, e firmada trà noi con le stretture, modi, e Capitoli infrascritti, alla qual el Summo Iddio si degni prestar felice evento, e sempiterna posterità; acciò possiamo di feste e piaceri illustrar questa eccelsa Città Nostra, à laude e gloria di Sempiterno Dominio nostro.»

 

Il primo atto ufficiale della Compagnia de Calza, quasi il suo atto di nascita, è una lettera di quattro pagine, scritta a mano su fogli protocollo, datata 26 gennaio 1981, e firmata da Paolo Emanuele Zancopè, che si era autonominato Gran Priore della Compagnia. Scritta con una penna stilografica dall’inchiostro nero, a caratteri larghi, antichi e svolazzanti, che ricordano vagamente la scrittura di Gabriele D’Annunzio, è indirizzata all’allora sindaco di Venezia, agli assessorati al commercio e al turismo, all’ufficio del plateatico e a quello dei vigili urbani. La lettera, che annuncia la nascita della Compagnia, comincia così: «Il sottoscritto Paolo Zancopè, presidente del Sindacato Italiano Piccoli Antiquari e Raccoglitori, San Maurizio 2671, tel. 32083, codice fisc. 80014390274, comunica alle Autorità Competenti che, fra i membri del S.I.P.A.R e altri, si è costituito un gruppo, denominato «Compagnia de Calza dei Antichi», avente per fine organizzare dei festeggiamenti durante il Carnevale di Venezia»

 

Con una precisione insospettabile, Zancopè illustra, in sette punti, le caratteristiche della «grande festa popolare» intitolata El Trionfo de la Morte, che durerà fino alle due del mattino «rifacendosi agli antichi temi medioevali e rinascimentali veneziani». E spiega che vi sarà un «pubblico ballo con musiche antiche», che tutti i palazzi che guardano il campo saranno addobbati con drappi e arazzi, che ci sarà una «luminaria con candele di tutti i detti palazzi e del campo stesso», e che nel campo sarà innalzata una «macchina» lunga venti metri per tre e per quattro, illuminata e decorata con pannelli e stendardi. «Sul ponte e nel campo – scrive – i Compagni de Calza, dovutamente mascherati e in costume, animeranno la festa assieme ad altri gruppi veneziani». Aggiunge che per l’occasione il campo verrà decorato «con antichi arredi quali pannelli e quadri del XVII secolo, torcere e drappi del XVIII secolo», e che verranno installati alcuni banchetti per la somministrazione di cibi e bevande (non superalcoliche) «a prezzi popolari». «La festa sarà gratuita e aperta al pubblico – spiega – non avrà fini di lucro e costituirà un valido contributo all’affermazione del Carnevale di Venezia». Per questo, dato che le spese da sostenere «saranno ingenti», la neonata Compagnia de Calza «auspica l’opportunità di un contributo» da parte delle competenti autorità. «Coi tempi che corrono ci è venuto spontaneo pensare alla morte – spiega Zancopè ai giornalisti che gli chiedono il motivo di questa curiosa festa macabra – e alla tradizione delle feste trecentesche dei trionfi fatti per esorcizzare situazioni e avvenimenti calamitosi».

Il Comune concede i permessi, l’allora assessore al turismo Maurizio Cecconi si dichiara «disposto» a patrocinare l’iniziativa e «disponibile» a un contributo finanziario, la Ciga Hotels stanzia un contributo di due milioni di lire. La festa ne costa più di cinque. Comincia così l’avventura degli Antichi. La prima festa della Calza viene inserita, con un bigliettino di invito stampato, nel programma ufficiale del Carnevale di Venezia del 1981, che in questo anno è firmato anche dalla Biennale e dalla Fenice. El Trionfo de la Morte ottiene un successo che va ben al di là delle più rosee aspettative, che entusiasma gli Antichi e li spinge a proseguire, forti di un vento che soffia impetuoso sulle loro vele, sulla strada intrapresa. Il Trionfo, come promesso, dura fino a notte fonda, in un campo gremito di folla. La gente beve e balla, sempre più eccitata, al ritmo incalzante delle musiche antiche, viene catturata dalla soldataglia che si aggira nel campo e portata da arcigni sbirri sul grande ponte «del trapasso». Il ponte è l’emblema di tutto. «Di qua c’è la vita, di là c’è la morte» urla come invasato, indicando le due opposte rampe del ponte, un grosso monaco con la maschera della morte in faccia, dietro cui si celano le fattezze del Gran Priore Zancopè al debutto della sua Compagnia. Quando sale sul ponte, la folla si trova al cospetto della morte, che brandisce, alta e minacciosa, la sua falce sopra la testa di chi lo attraversa. Devi abbassarti, chinare la testa per evitare la falce e passare dall’altra parte. Ma se pensi di essertela cavata ti inganni. La falce, anche se non ti ha sfiorato, ti ha colpito col suo soffio, col suo alito tremendo, e quando scendi dall’altra parte del ponte del trapasso lo capisci subito, perché ti vengono incontro i diavoli, ti vengono a prendere, ti strattonano, ti infilzano con un lungo forcone nelle parti più morbide, e ti trascinano con loro, a ballare, dall’altra parte del ponte. È il ballo dei trapassati. E allora capisci che sei morto, anche perché c’è un «nodaro», ieratico, impassibile, che ti consegna un certificato, è quello della tua morte, ci ha scritto sopra il tuo nome. E nel campo, come in un sabba senza fine, ballano i morti e ballano i vivi in un crescendo parossistico, orgiastico, ossessivo.

«La piazza – scrive Anna Maria Mori su Repubblica del 20.2.1981 – di fronte alla Biennale e alla sue scelte (il Settecento, la Dea Ragione) polemizza con scelte persino dichiaratamente antitetiche: la Compagnia de Calza veneziana (antiquari, ma anche un gondoliere, uno spazzino, un segretario del sindacato nazionale dei medici, un banchiere svizzero veneziano di adozione) ha organizzato sabato un “Gran balo macabro” ispirato al Medio Evo e alle feste d’epoca per esorcizzare la paura e la morte, scegliendo, per il travestimento, i suggerimenti che vengono da Cranach piuttosto che dal Tiepolo. E c’è un gruppo di ragazzini sui dodici anni tutti vestiti con tute e maschere antigas sul tema “Morte a Marghera”. Gino Fantin su Il Corriere della Sera del 1 marzo 1981 la racconta così: «Grandi grigliate di braciole di maiale, polenta e vino. Fumo e profumo invadono campo San Maurizio, nel cuore della città. I venticinque dell’antica “Compagnia de Calza” (antiquari, un gondoliere, uno spazzino, un banchiere svizzero) mangiano ridendo alla mensa allestita all’aperto. I palazzi intorno espongono al sole antichi arazzi a tutti i balconi. Al centro s’alza una tribuna con due passerelle, da otto pennoni penzolano stendardi bianchi con trentaquattro teschi in nero. È pronta una maschera della morte alta due metri. È una ragazza piena di voglia di vivere. “Co’ fa scuro”, appena scende il buio, inizia il “trapasso”. Attacca la musica: classici del Quattrocento e del Rinascimento, ritmi haitiani a percussione, macumbe. In marcia funebre le maschere, ghignanti e spiritose, affrontano la passerella, spinte dalla ragazza–morte: “S’accomodino signori e signore, di là è l’oltretomba”. Il campo è gremito, ci dicono che cinque televisioni riprenderanno la scena quando Il Trionfo de la Morte sarà al suo culmine. Il maiale alla griglia va, il vino anche. Il ballo vuole impazzire in danze orgiastiche. Fra teschi, Dracula, Frankestein e King Kong c’è una corona da morto vivente. Tutta veli e merletti, fa gli scongiuri con il nastro nero a tracolla: semel in anno...una volta all’anno». «Della festa dedicata al macabro che si è tenuta questa notte in campo San Maurizio – commenta Luciana Jorio su Il Giornale del 2.3.1981 – sono rimasti in circolazione una impressionante quantità di teschi, di scheletri con la falce argentea. C’era anche un tizio dalle gambe snelle inguainate in una calzamaglia nera, travestito da ghirlanda funeraria, il quale induceva a forsennate scaramanzie». «I veneziani hanno intenzione di tornare a impossessarsi della città e del Carnevale – argomenta Vittorio Pierobon su Il Gazzettino del 2.3.1981 – sono stati loro, assieme alla Biennale, a rilanciarlo e a riproporlo al mondo, ed hanno pienamente diritto di viverlo».

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sabato 28 febbraio 1981

Venezia, Campo San Maurizio

Gran Balo Macabro Publico

el Trionfo de la Morte