Si vesta come un cartomante del Settecento...

di Andrea Vitali*

ERA IL 1984, tempo di Carnevale. Il Teatro Comunale di Brisighella ospitava una mostra sui tarocchi, da me allestita in quanto direttore della biblioteca comunale. Non sapevo quasi nulla sui tarocchi, ma mi piacevano quelle figure che in qualche modo sentivo connesse con quel periodo dell’anno. Non avrei mai immaginato che sarei diventato, nel breve volgere di tre anni, uno dei massimi esperti mondiali e curato la più grande mostra mai realizzata su quel sistema simbolico presso il Castello Estense di Ferrara. Intanto leggevo di Venezia e del suo Carnevale sulle pagine de La Repubblica. La storia mi è sempre piaciuta, soprattutto il medioevo. Su quel periodo storico ero stato un precursore ideando quella che sarebbe diventata, con il tempo, una moda internazionale e cioè le prime Feste Medievali in senso assoluto, quelle di Brisighella. Era il 1980 quando l’assessore alla cultura Vincenzo Galassini ascoltò la mia idea e decise che avevo ragione. Le Feste crearono un tale ritorno d’immagine per Brisighella che da sconosciuto paesino romagnolo, divenne, nel volgere di qualche anno, il paese del medioevo, ovunque rinomato proprio per le sue Feste. Ed io leggevo di Venezia e del suo Carnevale. Pensavo al barocco e soprattutto alla moda dei castrati che riempivano i teatri d’opera del tempo. Un grande amore, quello per le voci bianche, che mi spinse a cercare di modificare la mia voce tenorile in quella da controtenore (così si chiamano oggi coloro che cantano in falsetto) e a creare un gruppo di musica antica. Ci riuscii e così con il «Consotium Terrae Plebis» cominciai ad esibirmi in canti medievali, rinascimentali e barocchi destando la curiosità morbosa delle signorine che quando mi sentivano cantare con quella voce femminea pensavano male di me. Gli intenditori dicevano che avevo una voce eccezionale, ma il tempo non era quello giusto per tentare una carriera. Oggi lo sarebbe. Fu con queste prerogative personali che, con il cuore in gola, telefonai a Venezia, al Sig. Paolo Zancopè dopo aver ricercato sull’elenco telefonico il numero di telefono della Compagnia de Calza «I Antichi»che come citava La Repubblica era il Comitato Promotore per il Carnevale di quella città. «Pronto, qui Paolo Zancopè» e fu un amore a prima voce. Conosceva i tarocchi, conosceva i castrati e conosceva il medioevo. Mi disse «Venga il giorno ..., facciamo una festa in Campiello Pisani, dove ricostruiamo una Fiera Barocca, la Festa Barona. Si vesta come un cartomante del Settecento e teatralizzi una lettura di carte per il pubblico. Se la sente?» «Ma certo», risposi. Iniziò così una mia grande avventura che mi portò non solo a partecipare al Carnevale Veneziano «dal di dentro», ma a collaborare strettamente con Zancopè per molti anni nell’ideazione e nella regia dei più bei momenti di quel Carnevale che tutti amano ancora ricordare, quello del Gran Ballo Macabro e delle grandi trasferte al Palais Royal di Parigi e al Deutsche Theatre di Monaco di Baviera.

La Festa Barona iniziò in Campiello Pisani «co fa scuro» come dicono a Venezia, cioè appena il sole tramonta. Zancopè mi aveva assegnato un palchetto preziosamente addobbato con stoffe e cuscini variopinti. Poi tutto cominciò. Le luci soffuse al punto giusto, le declamazioni in veneziano settecentesco, gli acrobati sul filo, le bancarelle in stile animate da personaggi che sembravano essere usciti dai migliori film in costume e tanta ilarità, mi fecero sentire a casa, alle Feste Medievali allestite alla chiesetta romanica di Pieve Thò, dove tutto concorreva armoniosamente a ricreare un’atmosfera da sogno, lì come nella Venezia di quella sera. Paolo apprezzò il mio intervento ed il giorno dopo discutemmo sulla ricostruzione odierna dei momenti storici, ambedue solidali con la necessità che il simbolismo era la via, il metodo, per avvicinare il pubblico alla conoscenza della storia attraverso lo spettacolo. Fu in quel giorno che ci «innamorammo» l’uno dell’altro. Avevo trovato finalmente una persona che giudicava esatte le mie teorie. Molto anni dopo, parlando con il Prof. Daniele Seragnoli, docente di Storia del Teatro all’Università di Ferrara, ebbi la conferma che io e Paolo avevamo ragione.

Fu così che le mie visite a Zancopè si ampliarono durante l’anno. Mi riceveva sempre con grande entusiasmo e quando andavamo in giro per campi e campielli per studiare le zone dove avremmo potuto allestire degli spettacoli, mi presentava agli amici e ai conoscenti che incontrava come il prof. Vitali, «grande storico del simbolismo e regista eccezionale». Si rivolgeva a me, in presenza di altri, sempre dandomi del Lei, cosa che a volte faceva anche quando eravamo da soli, per poi uscire inaspettatamente con un «Andrea, che ne pensi?». Le cene in casa Zancopè mi rendevano molto felice. Si cenava all’insegna di dispute culturali e della ricerca delle tradizioni veneziane del Sei e del Settecento inerenti al Carnevale. Si sfogliavano libri e quando improvvisamente si scopriva qualcosa di veramente interessante se ne parlava per ore, anche il giorno dopo. La casa di Paolo era un museo pieno di opere d’arte: arazzi, quadri, antichi suppellettili e manufatti, tutto concorreva ad esaltare le nostre ricerche e le nostre illuminazioni sulla scelta dei temi e sulle impostazioni degli spettacoli.

L’autoironia era di casa e le battute a volte alquanto salaci. Con Roberto Bianchin, già al tempo grande giornalista e con Luca Colferai, ancora giovane, ma destinato a diventare un ottimo creativo, ci chiamavamo a volte con l’appellativo di «recion», termine dialettale veneziano a significare una specie di raro esempio di uomo dedito a rendere piacevole la vita ad altri uomini. Ci siamo sempre voluti molto bene e nei momenti in cui ce ne rendevamo conto, ci esprimevamo in questo modo, quasi per smitizzare, con un senso di pudore, questo attaccamento fraterno. Dopo diversi Carnevali venne il tempo che la Compagnia de Calza «I Antichi» venisse da me invitata a Brisighella, alle Feste Medievali. Il motivo storico c’era e molto importante: Dionigi di Naldo da Brisighella, uomo d’arme e condottiero dei cosiddetti Brisichelli, soldati di ventura del Rinascimento, era stato sepolto nella Chiesa di SS. Giovanni e Paolo a Venezia con tutti gli onori che si attribuivano ad un figlio prediletto. Fu lui, in qualità di generale delle fanterie venete assieme ai suoi soldati, a salvare Venezia al tempo della Lega di Cambrai. Una lapide all’interno della Chiesa lo ricorda come Padre della Patria. E così, con le bandiere al vento del Leone di San Marco, Zancopè e la sua Compagnia sbarcò a Brisighella dove nel frattempo erano stati predisposti tutti i preparativi per un grande spettacolo, lo stesso che avevamo presentato in occasione del Carnevale di Venezia e cioè «Il Gran Ballo Macabro ovvero il Trionfo della Morte». Uno spettacolo capace di coinvolgere il pubblico fino al parossismo e che molti anni dopo fu oggetto, assieme ad altri miei spettacoli, di indagine da parte di diverse tesi di laurea. Mi ricordo Paolo vestito in armatura procedere verso l’altare al Convento della Collegiata di Brisighella, fra rulli di tamburi e squilli di trombe, allorché celebrammo in onore del grande Dionigi la Missa «L’Homme Armè», cioè dell’Uomo Armato, musicata da Dufay fra il 1454 e il 1470. Lo vidi con gli occhi umidi dall’emozione al «Gloria» cantata dal coro accompagnato da strumenti antichi: capii, come scrisse il Petrarca nei suoi Trionfi, che la Fama vinceva il Tempo, rendendo l’immortalità all’uomo. Paolo questo lo sentiva in modo molto forte.

La notte precedente lo spettacolo, predisposto in un grande prato vicino alle Terme, fu simpaticamente disastrosa: un vento furioso ed una pioggia di quelle rare di luglio divelse praticamente ogni struttura, mandando per aria quanto era stato predisposto. Durante il giorno rimettemmo tutto a posto e la sera ebbe luogo uno spettacolo che resta ancora indelebile nella mente di tutti coloro che ebbero la ventura di parteciparvi. Si trattò della «Rievocazione di un antichissimo rito del carnevale, non rappresentato dal 1510» come scrissero i giornali del tempo, molti dei quali veneti. Le Feste Medievali erano veramente di grande qualità, la stampa nazionale parlava di «miracolo» e per quella edizione gran parte del merito spettò alla Compagnia de Calza «I Antichi» ed al suo condottiere, l’amico Paolo Zancopè. Era il 1986.

Le celebrazioni in onore di Dionigi di Naldo si fecero successivamente anche a Venezia, dove oltre ai Compagni di Calza, parteciparono gruppi provenienti dalla Germania, dalla Francia, da Milano e naturalmente i Brisichelli.Si entrò all’interno della chiesa dei SS. Giovanni e Paolo a suon di tamburi, ciascun gruppo con i propri vessilli del tempo, fra musiche rinascimentali eseguite dal vivo con solisti ed un formidabile coro. I religiosi che officiarono la messa non poterono nascondere la propria emozione. Al pomeriggio e alla sera lo spazio antistante la chiesa divenne luogo di tantissime rievocazioni, dove le diverse compagnie si esibirono nelle loro specialità. Restò memorabile il combattimento dei lanzichenecchi provenienti da Landshut con le loro lunghe aste di legno.

Fra i tanti personaggi che con il tempo portai a Venezia per prendere parte agli spettacoli organizzati dalla Calza non può essere dimenticato Guido, che purtroppo non è più fra i mortali. Egli era nano e con questa sua prerogativa, durante gli spettacoli, svolgeva le funzioni tipiche dei nani del tempo. Guido si lamentava spesso, a causa di un mal di schiena che a volte gli impediva di essere all’altezza della situazione, ma la sua disponibilità fu totale fin dall’inizio. Durante una mia esibizione al Gran Teatro La Fenice, dove mi ritrovai vestito da donna ad interpretare un ruolo femminile, in considerazione della mia voce da controtenore – si trattava del «Teatro alla Moda» di Benedetto Marcello - Guido era alloggiato sotto la mia larga sottana barocca, dalla quale ogni tanto usciva per offrirmi del rosolio, adatto per fare schiarire la voce. Naturalmente tutto questo avveniva in scena, alla vista del pubblico, che dimostrò di gradire moltissimo la «trovata», soprattutto i momenti in cui Guido usciva ed entrava, con una qual certa difficoltà, da sotto la mia sottana. Mi ricordo che ci fu un momento in cui egli provò una qual certa difficoltà a respirare, cosicché preso dal panico, cominciò furiosamente ad attaccarsi alle mie gambe, segno convenzionale per una mia precipitosa uscita di scena.

Un giorno Paolo mi disse che la Compagnia de Calza del Carnevale di Venezia era stata invitata a Parigi, presso il Palais Royal e che per l’occasione avremmo dovuto preparare qualcosa di eclatante.

In quell’occasione, la televisione italiana mi riprese ancora in vesti femminili, con una lunga barba rosa che mi incorniciava il viso ed una parrucca dello stesso colore, molto alta. Ero veramente buffo, ma questo gioco del travestimento piacque moltissimo ai Parigini. Fu in quell’occasione che incorsi in una situazione simpaticissima: nel pomeriggio ero stato alla Librairie du Graal , che si trova tuttora vicino a Palais Royal. Questa libreria, ancora oggi è molto famosa per i suoi testi antichi riguardanti l’esoterismo e così andai con la speranza di trovare qualcosa che ancora mancava alla nostra Associazione da esporre nella mostra sui tarocchi. I proprietari mi accolsero manifestando una grande stima (avevo in quel tempo già organizzato la mostra sui tarocchi a Ferrara e quindi era normale che avessero sentito parlare di me) e mi sottoposero un libro del Settecento di Etteilla, un celebre esoterista che attribuì ai tarocchi un’origine egizia. Poiché non avevo con me il danaro sufficiente per l’acquisto dissi loro di tenermelo da parte e che sarei passato la mattina dopo a ritirarlo. Cosa che i proprietari fecero di buon grado. Quando mancavano trenta minuti all’inizio dello spettacolo, Paolo ci disse che i programmi erano cambiati e che saremmo dovuti ripartire per l’Italia subito dopo lo spettacolo. Preso alla sprovvista e non potendo rinunciare al libro che avevo fermato, mi alzai la lunga gonna e con la mia barba rosa e la parrucca, insomma così come ero truccato per lo spettacolo, mi diressi di corsa verso la Librairie du Graal, inciampando di quando in quando causa le alte scarpe barocche che indossavo. Entrai ansimante nella Libreria, suscitando un evidente stupore. Non fui subito riconosciuto, ma quando finalmente riuscii a dimostrare la mia identità, i proprietari non poterono fare a meno di lasciarsi andare ad un esilarante riso. Pensai alla mia immagine di storico serioso che con molta probabilità era stata svilita agli occhi di quei signori, ma la sera me li ritrovai allo spettacolo, applaudenti felici per la mia performance.

Un altro grande appuntamento fu la realizzazione del Carnevale Veneziano al Deutsche Theatre di Monaco di Baviera dove andammo per due volte. Soprattutto il primo fu un evento memorabile, quando fra le tante animazioni, mettemmo in scena l’operina barocca, così come la chiamava Paolo, «L’amor fallace ovvero degli amorosi equivoci» che avevo ideato come un pastiche alla moda del Settecento. Assieme ad altri cantanti e diversi musicisti, si esibivano con me Maria Grazia Garofoli ed Enzo Cesiro, in quel tempo primi ballerini del Teatro Comunale di Bologna ed altri Compagni di Calza. Mi ricordo particolarmente Roberto Bianchin che, nelle vesti di mio cicisbeo e per proprie innate capacità teatrali, grazie alle movenze assai realistiche del suo ruolo, faceva sbellicare dalle risate l’intera platea. L’operina si concludeva con una mia grande caduta all’indietro, mentre lanciavo in aria una colomba bianca. A furor di popolo la dovemmo replicare più volte.

L’aspetto comico non era evidentemente il solo a dominare negli spettacoli che la Calza organizzava. Basti pensare alla serietà culturale, ma assieme spettacolare, di tanti altri eventi che durante il Carnevale si allestivano. Non posso certo dimenticare la serata magica di quando, in occasione della Festa del Redentore, salimmo nel pomeriggio su una grande barca filologicamente apprestata per l’occasione. Si chiamava «Peota Sollazziera» e il compito della Calza era quello di cucinare pesce a bordo per distribuirlo a tutti coloro che si avvicinavano a noi con le proprie barchette durante la festa. Cercate di immaginare migliaia di piccole imbarcazioni, dotate ciascuna di luce naturale, che illuminano a giorno la laguna. Fu un’esperienza entusiasmante, anche perché vedemmo i fuochi artificiali partire dalle chiatte di legno proprio sopra ai nostri occhi. A notte fonda, quando ormai la laguna era completamente vuota, la nostra «Peota» scivolava sulle placide acque, mentre io ed i miei compagni musicisti intonavamo una delle più belle canzoni del Rinascimento, la tourdion «Quand je bois du vin clairet».

Tanti ricordi bellissimi di una Venezia che celebrava il suo carnevale basandosi sul recupero delle autentiche tradizioni antiche, dal suo Rinascimento a tutto il Settecento.

L’amicizia con Paolo non mi portava a Venezia solo per il Carnevale o in occasione delle altre feste che la Calza organizzava. Mi ricordo, ad esempio, quando l’Amministrazione Comunale emise un’ordinanza con la quale vietava ai turisti di andare in giro con i soli slip o senza maglietta, cioè a dorso nudo. Per un intero giorno, in compagnia di Paolo, camminai per campi e campielli, fermando ed informando tutti coloro che stavano trasgredendo al divieto. Paolo amava molto la sua città e in questo ero solidale con lui. Per molti anni mi fece sentire «Veneziano».

La sua morte, dovuta ad uno di quei mali che non lasciano scampo, mi rattristò fortemente. Cercai di stargli vicino per quanto mi fu possibile.

Lo ricordo come un uomo eroico, di una statura intellettuale superiore, umile e nel contempo energico. Conosceva la storia e il modo di trasmetterla divertendo e facendo divertire il pubblico, assecondando in questo senso l’assioma «Ludendo Intellego» cioè giocando imparo. Ho imparato molto da lui. In uno dei suoi ultimi momenti quando ancora parlavamo di cultura e di spettacolo, lo ringraziai per tutte le bellissime emozioni che mi aveva fatto vivere promettendogli che mai l’avrei deluso.

* Medievista, direttore delle Feste Medievali di Brisighella, studioso di tarocchi, ideatore e regista di feste e spettacoli di piazza.

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