Anno 1984

Dopo il «Mascarar» del 1983, la Compagnia de Calza va all’assalto per affermare, a tutti i livelli, la «venezianità» del Carnevale «in contrapposizione a quanti vorrebbero invece trasformare la manifestazione in un’imitazione di carnevali di altri paesi». Ancora a San Polo gli Antichi mettono in scena, al Carnevale di Venezia 1984, il Gran Balo del Foresto de sesto, il Gran Balo de le Cortigiane con l’elezione della «Regina» della categoria, e il Gran Balo de Corto Maltese. Poi inventano la Ombralonga, vanno nell’isola di Burano a rendere omaggio al più antico Carnevale veneziano, allestiscono a San Maurizio il primo Mercatino de le Mascare e scoprono l’unico ritratto esistente del poeta Giorgio Baffo, del quale, a dicembre, comperano all’asta una rarissima edizione dei suoi sonetti. Portano il Carnevale anche a Mira, sulla Riviera del Brenta, a giugno ridanno nuovamente vita alla festa di San Pietro di Castello, e a luglio organizzano una grande kermesse gastronomica in campo San Maurizio. A settembre partecipano con una barca della Calza alla Regata Storica, e a San Maurizio battezzano, in forma pubblica e antica, Zanzorzi Zancopè, primo e unico figlio del Gran Priore degli Antichi Paolo Emanuele Zancopè. Nel corso dell’anno la Calza partecipa a numerose trasmissioni televisive, tra cui “Pronto Raffaella”, “Domenica In”, “Fantastico 5”.

La Calza apre le ostilità il 16 gennaio 1984 affiggendo il suo tradizionale bando de levada de calza, in cui dice che «dopo aver portato allegrezza non mediocre» negli ultimi Carnevali con le feste di campo San Polo, «ha mostrato la strada e la filosofia per ricreare un Carneval Venetian» rispettando le antiche tradizioni della città. «Ma ci sono dei patatuchi (uomini di poco senno) – aggiunge il bando – che non intendono capire questi discorsi e fanno orecchie da mercante». «Sordi d’intelletto» vengono definiti, e a loro gli Antichi annunciano, anche con il linguaggio dei gesti, che il messaggio sulla venezianità del Carnevale verrà portato avanti «oltre che con le parole, anche con i fatti». Di qui il Carnevale «d’assalto» dal 25 febbraio al 6 marzo, e il decreto del Priore che comunica l’apertura dell’«arruolamento di tutti i volontari che vogliono difendere il Carnevale di Venezia». A questo scopo il bando annuncia che «gli ufficiali addetti all’arruolamento, nominati dal Camerlengo della Compagnia Aldo Bon da Malcanton, provvederanno alla selezione e al reclutamento dei volontari».

1984 - Gran Balo del Foresto de Sesto

È stato il Gran Balo del Foresto de Sesto a inaugurare «co’ fa scuro» in Campo San Polo, sabato 25 e domenica 26 febbraio, il Carnevale della Calza del 1984. Una festa dedicata agli ospiti stranieri a Venezia: ospiti di ogni età, di ogni condizione sociale e di ogni epoca, ma «de sesto», cioè dabbene, perché sono quelli – spiegavano gli Antichi – «che hanno rispettato nel tempo e rispettano oggi la città, le sue tradizioni, i suoi abitanti». La serata è iniziata con l’inno a Venezia e l’alzabandiera, mentre si accendevano in campo mille candeline. Sul grande palco un affascinante Arlecchino, impersonato da una ballerina della compagnia di danza Serge Diaghilev diretta da Mariella Turitto, ha mimato liriche dedicate a Venezia e recitate da una voce fuori campo. Dopo questo spettacolo nello spettacolo, l’arlecchino ha invitato i suoi colleghi, dodici dame e altrettanti cavalieri, a danzare il minuetto su musiche di Mozart e Boccherini. È stato a questo punto che quindici musicisti brasiliani, che quest’anno hanno formato la «Banda» della Compagnia, hanno fatto il loro ingresso suonando un tema tratto dalla Asinaria Phaesta di Renè Clemencic. La divinità brasiliana delle acque, Iemanjá, è stata quindi invocata con le musiche del Candomblé, per ottenere la sua protezione sul Carnevale, mentre i Compagni de Calza sfilavano con le torce accese, accompagnati dai ballerini brasiliani Chico Terto e Vicente Barcellos, che eseguivano la danza della Macumba. Coadiuvata dal percussionista Carlos Sergipe e con la direzione musicale di Maria Villaca, Betina Aarao ha poi cantato «dando il meglio di sé stessa», ma, come riferisce un comunicato degli Antichi, «quale delicato fiore tropicale» alla fine della festa «non ha più retto il nostro clima e si è dovuto ricorrere al suo ricovero in ospedale per un malore». Comunque, l’esecuzione delle musiche che ripercorrono la tradizione brasiliana dall’Africa al Carnevale dei nostri giorni è continuata mentre «innumerevoli bandiere multicolori venivano sventolate dai Compagni de Calza che trascinavano il pubblico sul palco». Molto suggestiva è stata anche la «Tauromachia» proposta dai brasiliani: un magnifico toro sfavillante e pieno di colori (finto, ovviamente) seguiva per il campo il suo padrone che ne magnificava le qualità, la bellezza, l’intelligenza, e al tempo stesso esprimeva tutta la sua sofferenza perché doveva ucciderlo. Dopo la morte del toro il suo padrone ha raccontato alla folla cosa avrebbe fatto dell’animale: «Ecco, il toro è morto. La testa la diamo ai governanti perché con il suo cervello possano pensare e con i suoi occhi possano vedere. La carne la diamo ai ricchi, perché solo loro se lo possono permettere. Al popolo, le trippe, tranne il cuore, che lo diamo a Venezia. Le corna a coloro che se le meritano, e la coda la tengo per me». La canzone della Tauromachia è stata presto cantata da tutti i presenti: «Mio bel bo, bo col muso nero, fame star in pie, co ’sta piova tuto intiero!».

«La musica è un po’ la linea portante di questa confraternita degli Antichi – commenta Luciana Jorio su Il Giornale del 28.2.1984 – che ha stipulato un patto di ferro con un gruppo di musicisti brasiliani affinché essi eseguano questi motivi rinascimentali alla loro maniera, dopo aver sciacquato le note nelle acque di Rio e di Bahia. Un’idea splendida e niente affatto peregrina, dal momento che il celeberrimo Carnevale di Rio de Janeiro ricava il suo filo conduttore dal Carnevale veneziano di quattrocento anni fa». «Merito dei brasiliani che hanno fatto la macumba o dell’assessore Cecconi che ha passato la notte studiando un libro di antichi scongiuri o del Gran Priore della Calza Zancopè che alle finestre di casa ha affisso l’effige della sua mano benedicente nell’intento di scongiurare le inclemenze del tempo – annota Roberto Bianchin su Repubblica del 26 febbraio 1984 – fatto sta che il Carnevale ha sconfitto anche la pioggia». «La sveglia al Carnevale ci ha pensato a darla la band franco-brasiliana inventata dagli spiriti faceti della Compagnia de Calza – rileva Sandro Comini su Il Gazzettino del 26.2.1984 – la prima delle già numerose brigate festaiole della città partorite dal ventre fecondo del rinato spirito carnascialesco. Il loro pubblico bagordo d’apertura, subito dopo il tramonto, ha sfidato la pioggia di ieri in campo San Polo».

1984 - Gran Balo de le Cortigiane

È stato l’evento più importante del Carnevale ’84. Andato in scena sabato 3 e domenica 4 marzo, sempre «co’ fa scuro» e sempre a San Polo, con le musiche dal vivo del Clemencic Consort tornato in laguna dopo il grande successo dell’anno precedente, ha visto la prima elezione della «Regina delle Cortigiane». E ha regalato alla Calza un nuovo, importante personaggio. La vincitrice, la Contessa di Parma Mafalda Malpighi, sembra trascinata a forza dalla Piazza San Marco da Amedeo Memo e scoperta nell’occasione dal Gran Priore, è diventata infatti una delle colonne portanti della Compagnia, che non abbandonerà mai più nel corso degli anni, rimanendone una indiscussa protagonista, qual è tuttora, sempre nel ruolo di incontrastata Regina delle Cortigiane di Venezia che l’aveva portata alla ribalta del Carnevale. È stata eletta da una speciale giuria presieduta dal professor Antonio Barzaghi, storico del costume e autore del volume «Donne o cortigiane», e composta dall’antiquario Pippo Casellati esperto in reperti antichi, dal gondoliere Amedeo Memo detto Memo professore in amenità estetiche, dal macellaio Gianni Matteucci laureato in assaggio dei quarti e dall’operatore ecologico Albino Costantini addottorato in palpazione.

La Repubblica, ancora una volta per la penna di Roberto Bianchin, la racconta così nell’edizione del 6.3.1984: «Si chiama Mafalda Malpighi, o almeno così dice, la regina delle Cortigiane di Venezia. È stata eletta domenica sera nell’affollatissimo campo San Polo durante il gran ballo delle cortigiane indetto per il Carnevale dalla Compagnia de Calza «I Antichi» allo scopo di abolire l’articolo 21 dello statuto del 1541 della Compagnia che proibiva alle cortigiane di partecipare alle feste. Scollatura da brivido, neo sulla guancia sinistra, tricorno in testa, abito pomposo da maîtresse del Settecento, capelli biondi e forme bene in evidenza, la non più giovanissima Mafalda, contessa veneziana e tenutaria di due case chiuse nel centro storico della città, per sua stessa scherzosa definizione, ha letteralmente spopolato fra le numerose concorrenti che hanno fatto passerella, fra ovazioni, urla, fischi e commenti irripetibili sul gran palco eretto nel campo». «Molti anche i cortigiani – continua Repubblica – tanto che la giuria è stata quasi costretta a premiarne uno, Giorgio Condotta, trevigiano, del gruppo di lavoro di Giulia Mafai, che ha impersonato una superba cortigiana d’altri tempi, con un abito enorme, tutto dorato, con uno strascico di dieci metri, fatto di carta e di materiali poveri. Il premio al gruppo più bello è andato invece ai quattro dello studio Arabesque di Padova che hanno fatto rivivere i fantasmi bianchissimi e leggiadri di quattro famose cortigiane del passato: Veronica Franco, Orsetta Tron e, in versione maschile, Maffio Venier e Chiappotto da Quintavalle (di quest’ultimo, per la verità, non c’è traccia nei libri di storia)». La festa, sostenuta dalle musiche medievali di Renè Clemencic e dalla performance del pittore francese Hyppolite Romain che ha dipinto sul palco un grande affresco della festa, ha vissuto un altro momento storico quando il Principe di Creta Massimo Silvestri, araldo ufficiale della Compagnia, ha annunciato la solenne abolizione dell’articolo «ingiusto, discriminatorio e inadeguato ai tempi» dell’antico statuto che diceva che alle feste della Compagnia «per ovviare agli scandali, non possono venire né stare cortigiane». Il Principe Silvestri, che è anche duca di Zancle, marchese di Valognè, conte di Magella e barone di Kastillium, ha ordinato che d’ora in poi tutti i festeggiamenti degli Antichi vengano rallegrati dalla presenza di cortigiane «senza distinzione di casta e di casato».

A conclusione della festa, che era stata contestata dalle allieve dell’Accademia di Belle Arti di Venezia, che chiedevano in una lettera di organizzare per par condicio anche «il ballo dei maschietti» con l’erezione del «ponte dei falli» accanto al «ponte delle tette» ricostruito a San Polo nell’occasione, simbolo delle cortigiane che anticamente si affacciavano ai balconi a seno scoperto, gli Antichi hanno presentato, insieme al Centro Internazionale della Grafica, un prezioso volumetto che accanto a note e saggi storici elenca con nomi, cognomi, luoghi di lavoro, prestazioni e tariffe (dal mezzo scudo di Elena Rossa ai 30 di Paulina Filla Canevo), tutte «le principali et più honorate» cortigiane di Venezia, che erano più di duecento ed alcune famosissime, come Veronica Franco, poetessa e letterata. «Un omaggio alle donne di cultura – ha commentato il Gran Priore – a quelle che in tutti i tempi hanno saputo superare invidie, maldicenze e falsi pudori per coagulare attorno a sé cenacoli letterari e artisti, salotti anticonformisti e spiritualmente vitali».

1984 - Nascono la Compagnia de Calza de Seda e la Compagnia de Calza dei Giovani Antichi

La Compagnia de Calza «I Antichi» ha fatto scuola e comincia a fare moda. Da varie sue costole nascono infatti altre compagnie, come quella de «I Giovani Antichi» che raccoglie, sotto la guida del Priore Sebastiano Casellati, i rampolli più vivaci dei Compagni de Calza: Massimo Andreoli, Alessandro Bianchini, Stephen Barbalaco, Carlo Cappai, Francesco Casellati, Piero Casellati, Fabio Gremise, Caterina Goretti, Sebastiano Lenarda, Alessandro Memo, Debora Memo e Massimiliano Memo, Simonetta Rinaldi, Roberto Teso, Ombretta Zerbetto e le sue amiche padovane; e quella molto sofisticata, tutta al femminile, alla quale sono ammesse solo donne, della «Compagnia de Calza de seda», le calze di seta, capitanata dalla contessa Lucia Tito Zavagli Ricciardelli. La nascita della nuova compagnia, che avrà soprattutto il compito di «regolare il traffico degli eventi mondani», spiega Luciana Boccardi su Il Gazzettino del 4.3.1984, viene celebrata con una festa a palazzo. «L’idea ci è venuta dopo la Vogalonga alla quale ho partecipato con alcune amiche – spiega la contessa veneziana – avevamo costituito un equipaggio interamente femminile, chiamato da qualcuno, con scarso buon gusto, la barca delle contesse. Così per divertirci un po’ ci siamo radunate, faremo la ciamàda e costituiremo, esempio senza precedenti nel costume veneziano, la Compagnia de Calza de seda». Nello stesso Carnevale ’84 vedono la luce, sempre da costole degli Antichi, altre due compagnie, quella dei Cannarioli guidata dal perito industriale Mario Andreoli, e quella dei Nuovi Cortesi diretta dal mascheraio Carlo Ansaldi. Compagnie che, purtroppo, godranno di alterne fortune e avranno tutte vita effimera.

1984 - Gran Balo de Corto Maltese

Il gran finale in campo San Polo del Carnevale della Calza, martedì 6 marzo, è stato dedicato, com’è ormai diventata tradizione, a un veneziano famoso nel mondo. L’anno precedente fu il viaggiatore Marco Polo, quest’anno è stato l’avventuriero Corto Maltese, il popolare eroe dei fumetti creato dalla fantasia di un altro veneziano illustre che risponde al magico nome di Hugo Pratt, il Maestro di Malamocco. La festa infatti, oltre che a Corto, voleva essere un omaggio anche al suo creatore, perché Corto, in realtà, altri non è che l’ombra di Pratt. Per questo la serata, ricca di suggestioni culminate in un gran ballo collettivo e liberatorio, è stata tutta improntata al tema del ritorno di Corto Maltese a Venezia. Corto il marinaio è arrivato sulla laguna dopo lunghissime peregrinazioni in giro per il mondo, pronto a incominciare una nuova avventura. L’ambientazione e le scenografie erano tutte ispirate alle più celebri e appassionanti avventure di Corto Maltese, al suo mondo, alla sua filosofia di vita, ed ai suoi personaggi più famosi che lo hanno accompagnato nelle sue innumerevoli peripezie. Ma la festa era ispirata anche al mondo e alle suggestioni veneziane di Pratt. Corto Maltese ha fatto il suo ingresso a San Polo in pompa magna, accolto da un popolo festante e seguito da un variopinto corteo comprendente i personaggi delle sue avventure, dall’affascinante Bocca Dorata al diabolico Rasputin. «Così, tra musiche veneziane, maltesi, caraibiche e sudafricane – scrive Il Gazzettino del 7.3.1984 – Venezia ha celebrato il trionfo di Hugo Pratt e insieme la morte del Carnevale. Suonava la banda brasiliana della Compagnia, integrata ieri sera dalla partecipazione straordinaria della sensazionale banda cubana di Juan Pablo Torres. Questa banda in giro per Venezia l’hanno vista un po’ tutti: quindici elementi rubati dalla Serenissima al Carnevale di Rio, tutti elementi di prim’ordine che hanno seguito i compagni de calza in tutti i loro spostamenti a creare occasioni di festa. Fra loro anche alcune stars, come la cantante e percussionista Betina Aarao, Marcus Llerena alla chitarra classica, il chitarrista e compositore Claudio Valente, il percussionista Carlos Sergipe e il loro direttore musicale Maria Celeste Vilaca.

1984 - Gli Antichi inventano l’«Ombralonga» con Manlio Collavini

«In principio c’era stata la Marcialonga, lassù tra le montagne. Poi la Vogalonga, tra le nostre lagune. Quest’anno, per iniziativa della Compagnia de Calza «I Antichi», è nata la Ombralonga, ovvero Su e zo per i bàcari, marcia enologica e non competitiva ma a premi, attraverso le più antiche e le più caratteristiche osterie di Venezia, e il miglior vino della città». Gli Antichi annunciano così un’altra delle loro invenzioni, che risulterà negli anni seguenti la più copiata, imitata e anche maldestramente esportata da altri gruppi in altre città. Alla partenza della prima edizione della marcia, che si è svolta mercoledì 29 febbraio 1984 alle ore 18.30 da campo San Polo, hanno partecipato migliaia di persone, veneziani e foresti «boni da ombre», cioè amanti del buon vino, insieme a tutti i compagni de calza e alla banda brasiliana di pifferi, trombe e tamburi. La partecipazione era, per tutti, gratuita, con l’unico obbligo di presentarsi in maschera. Ombralonga, spiegano gli Antichi, nasce dal dialetto veneziano, dove per ombra si intende il bicchiere di vino. Infatti negli anni che furono, sotto al campanile di San Marco c’era un banchetto, coperto da un tendone, che vendeva vino. E la gente diceva: Andiamo all’ombra a bere un bicchiere. Così ombra è diventata sinonimo del bicchiere di vino. La prima edizione della Ombralonga, il cui percorso è stato abbondantemente innaffiato con diecimila ombre di ottimo vino d’autore dal vinaio friulano, e compagno de calza, Manlio Collavini, titolare della omonima casa vinicola di Corno di Rosazzo (Udine), una delle più rinomate aziende italiane di qualità, è partita da campo San Polo «con la prima augurale e salutare bevuta». Poi vi sono state soste ad ogni osteria, dove i partecipanti «dovevano» bere «almeno un’ombra» per restare in gara. Ne hanno bevute, in realtà, molte di più, e in parecchi hanno faticato a completare il percorso rimanendo in piedi. Le tappe sono state alla San Giacomo Benefica di San Giacomo dell’Orio, al Gazebo al ponte delle Guglie, Al Campielo in campiello Picuti, Ai quaranta ladroni in fondamenta della Sensa, al Paradiso Perduto in fondamenta della Misericordia, alla Osteria alla Vedova alla Ca’ d’Oro, e infine Ai Do Mori a Rialto. Nell’occasione è stato presentato il volumetto «Ombralonga, storie de ostarie, bacari e furatole, magazeni, bastioni, samarchi o samarcheti», edito dalla Compagnia de Calza «I Antichi» e dal Centro Internazionale della Grafica di Venezia.

«Una banda di matti ha riempito calli e campielli dietro lo stendardo della compagnia sorretto dal valoroso Aldo Bon in completo aeronautico anni trenta – ha commentato Carlo Montanaro su Il Mattino di Padova del 4.3.1984 – e la città ha guardato con occhio benevolo alla torma itinerante». «L’Ombralonga ha riportato in auge un aspetto di quella Venezia che non appare in cartolina e che non ha nulla a che spartire con il festival della sbronza – ha scritto Fausto Pajar su Il Gazzettino del 1.3.1984 – è come se gli Antichi avessero voluto condurre per mano a Venezia, nella Venezia fuori dal grande terminal di Piazza San Marco ormai divenuto sentina di ogni iniquità, un gruppo che vuole conoscere Venezia. Il risultato è stato di grande successo. Ogni partecipante ha avuto alla partenza un bicchiere con un timbro originale della Compagnia e col bicchiere in mano, in assoluta calma, chiacchierando piacevolmente con amici e conoscenti, è andato di campo in campo per raggiungere in tre o quattro ore, secondo il gusto personale, la cantina dei Do Mori».

1984 - Omaggio a Burano

Giovedì grasso, primo marzo, mentre a San Marco cadeva un’insistente pioggia, imperversava la disco music e saliva anche una lieve ma minacciosa acqua alta, gli Antichi, sotto un cielo coperto e chiuso, portavano il loro Carnevale caldo e festoso nell’isola di Burano, come omaggio al più antico Carnevale veneziano. «Stendardi al vento nonostante il clima da purgatorio dantesco, nessuno li ferma», scriveva Fausto Pajar su Il Gazzettino del 2.3.1984. «A Burano gli Antichi con il Prior Grando, il Camerlengo, il Doge dei Nicoloti, l’Archiatra, i nobiluomini e le Cortigiane – annotava Luca Colferai su Venezia 7 del 3.3.1984 – hanno ricevuto il benvenuto della compagnia dei buranei «in scappin» che in un tono fra lo scherzoso e il solenne hanno offerto, prima al Doge e poi a tutti, piccoli bussolai dolci e un pezzo di polenta gialla, e consegnato ai notabili della Calza un remo e una forcola quali simboliche chiavi dell’isola. Intanto la banda, instancabile, irrefrenabile, dava sfogo a pifferi e tamburi alimentando l’euforia e dando il tempo e i ritmi della festosa processione che cominciava a percorrere l’isola». «Al suono di un samba avanza una grande botte di vino – proseguiva Il Gazzettino – s’offre l’ospitalità, il saluto, il benvenuto alle genti che vengono di lontano. Rimane la purezza di certi simboli in questa grigia giornata che si trasforma di colpo, per una sorta di gioia collettiva, misurata ma non fasulla, in una festa di colore e di partecipazione che neppure la piazza San Marco ha donato in questi giorni».

1984 - Il primo Mercatino de le Mascare e de i Mascarari

Nel corso della sua settimana più intensa, per sei giorni, dal primo al sei marzo, il Carnevale di quest’anno ha offerto anche un’attrattiva in più: il primo Mercatino de le mascare e de i mascarari ideato in campo San Maurizio dalla Compagnia de Calza «I Antichi», che ha visto la partecipazione di quaranta artigiani e mascherai veneziani, e gli spettacoli del Gran Teatro de le Marionete Briciolino e Salacca della compagnia di Fabio Di Rosa. La manifestazione è stata realizzata in collaborazione con gli assessorati comunali al commercio, artigianato e turismo, e con le due associazioni di artigiani della città, la Cgia e il Cna. I banchi del mercatino erano stati ricoperti da drappi antichi e gli espositori indossavano abiti del settecento, come in una fiera di due secoli fa. Sono state esposte soprattutto maschere tradizionali, quelle veneziane della commedia dell’arte, di cartapesta e di cuoio, ma anche maschere di ispirazione mitologica e di fantasia. «Un concentrato di fantasia e di ispirazione – scriveva Il Gazzettino del 3.3.1984 – tanto da indurre anche il veneziano già stanco del Carnevale a fermarsi, guardare con piacere, toccare. Non solo un’iniziativa commerciale ma anche un contributo culturale inteso a diffondere la conoscenza della maschera, il suo ruolo nel costume e nello spettacolo, dalla commedia dell’arte ai burattini, e la sua evoluzione nei secoli».

1984 - Ritrovato l’unico ritratto di Giorgio Baffo

Non poteva mancare, come ogni anno, il consueto omaggio al poeta Giorgio Baffo, nume tutelare degli Antichi. Ma quest’anno c’è una sorpresa, una clamorosa scoperta storica e artistica: è stato infatti trovato «in circostanze alquanto misteriose», informano gli Antichi in un comunicato del loro efficientissimo Ufficio Stampa, «l’unico ritratto esistente del poeta», «opera del raro pittore Andrea Pastò operante a Venezia e nella Villa Widmann a Bagnoli intorno alla metà del Settecento». Si tratta di un ritratto che, oltre al gusto della scoperta – e l’expertise di Egidio Martini non sembra lasciare dubbi in proposito – presenta anche un’altra caratteristica importante e meno nota. Ci mostra infatti un’immagine del poeta piuttosto diversa da quella che ci era stata tramandata dalle rare incisioni che lo raffiguravano, messe a frontespizio sulle sue opere. Nulla di osceno, di vizioso, di libidinoso, appare dai tratti del suo volto, che ci rimandano anzi l’immagine di un uomo tranquillo del suo tempo, posato, di una certa età, un po’ paffuto, sereno, con un bel vestito dai bottoni dorati e la parrucca candida che gli scende vezzosamente sulle spalle. «Quando mi portarono il ritratto di Zorzi Baffo – scrive, commosso, il Prior Grando Zane Cope nel dépliant a stampa che annuncia la scoperta – fu come se in fondo ad un dimenticato cassetto dell’antica scrivania del nonno avessi trovato la fotografia di un parente. L’aria familiare, l’espressione bonacciona, il lieve accenno d’ironico sorriso».

L’unico e vero ritratto esistente di Giorgio Baffo venne presentato in un’affollata serata in campo San Maurizio la sera di venerdì 2 marzo 1984, insieme a una cartella di otto disegni del pittore Abdenego dedicati al grande poeta veneziano. Il Tribute to Baffo, così era stato chiamato l’evento, curiosamente in lingua inglese, si è svolto «in una magica atmosfera di attesa e di sorpresa» informano le vecchie cronache. «Il poeta, impersonato dal Gran Priore della Compagnia, è uscito dalla Calle del Dose e, raggiunto il pozzo che sorge in mezzo al campo, attorniato dalla folla ha cominciato a declamare alcune liriche del poeta. Il Gran Priore si è recato poi a rendere omaggio alla lapide dedicata a Baffo, affissa sulla facciata del palazzo dove visse, sotto la quale è stato deposto un mazzo di rose rosse». «Le parole del Baffo verso i reconditi segreti delle donne – ha scritto Carlo Montanaro su Il Mattino di Padova del 4.3.1984 – hanno risuonato con divertimento e sottile malizia tra il pubblico presente».

1984 - Festa grande sulla Riviera del Brenta

Reso l’omaggio all’isola di Burano nel giorno di giovedì grasso, non poteva mancare anche l’omaggio al popolo di terraferma, e in particolar modo a quello di Mira e della Riviera del Brenta, lungo le strade e le ville dove nel Settecento i veneziani si recavano in gran numero a far baldoria e a finire il Carnevale, «dando feste grandiose per le strade e nei palazzi». Di qui l’iniziativa di una Festa grande sulla Riviera, lunedì 5 marzo, ideata dalla Compagnia de Calza e dal Comune di Mira. Due i momenti della festa. Prima gli Antichi, accompagnati da un variopinto corteo in costume e dalla banda brasiliana hanno risalito il fiume Brenta da Venezia a Mira a bordo di un antico burchiello ricostruito sui modelli del tempo, come facevano i veneziani di una volta. Quindi hanno fatto festa per le strade con la gente dando vita a un Gran Balo dei Venetiani e a una sarabanda in piazza, montati su carri trainati da buoi. Infine, la sera, a Villa Contarini dei Leoni, gli Antichi hanno animato, in collaborazione con il Teatro La Fenice e la Provincia di Venezia, una serata dedicata alle Canzon de Parigi tra il 1860 e il 1920, interpretate da Francesca Solleville. Nell’occasione il Priore della Calza ha nominato compagno de calza ad honorem l’assessore alla cultura del Comune di Mira, nonché noto cantautore, Gualtiero Bertelli.

1984 - La Butada de Calza

Nel corso della cerimonia di Butada de Calza che chiude tradizionalmente il Carnevale, e che si è svolta all’hotel Gabrielli, ospite Lina Perkhofer, il Gran Priore della Compagnia de Calza «I Antichi» Paolo Emanuele Zancopè ha commentato così l’edizione del 1984: «Il dato più nuovo di questo Carnevale è stato che finalmente, anche se ancora con alcuni limiti, è riuscito a imporre nei campi e nelle strade la sua venezianità. Singoli o in gruppi, in associazioni o in compagnie, i veneziani hanno dato alla festa dei connotati autentici, a volte spontanei e improvvisati, forse non sempre perfetti, ma comunque una dimostrazione che la città è viva e che vuole dire la sua liberamente, anche nel Carnevale. È una strada questa che la Compagnia aveva già indicato fin dalle sue prime manifestazioni e sulla quale intende proseguire per il futuro anche fuori dal Carnevale. Non sarebbe comunque male cominciare a pensare ad alcuni aggiustamenti di tiro, come la chiusura di Piazza San Marco, che potrebbe venir destinata unicamente all’installazione di tabelloni luminosi informativi dei programmi e dei servizi, e favorire un decentramento maggiore delle iniziative».

1984 - Vincono i Nicoloti l’antica giostra su barche

La Compagnia de Calza torna a far rivivere, sabato 30 giugno 1984, l’antica festa di San Pietro di Castello, riproponendo la giostra cavalleresca su barche che tanto successo aveva riscosso l’anno precedente. «L’antica disfida acquea tra veneziani e tartari – scrive Eva Carlet su Il Gazzettino del 2.7.1984 – è riproposta ancora una volta invitando a singolar tenzone i campioni più coraggiosi e più esperti delle due fazioni tradizionalmente rivali di Venezia: i Castelani, in rosso, e i Nicoloti, in nero. Sei campioni della Compagnia, con la calza rossa, oro e viola, a bordo delle due robuste caorline portate da soci rematori di voga alla veneta della Bucintoro, sono pronti per colpire l’avversario con la loro lunga lancia da torneo. Paolo Zancopè, responsabile della Compagnia, dà loro il via, ma ben presto si accorge di quanto è difficile far rispettare le regole e lo si sente gridare al microfono: «I gioielli di famiglia non sono abbastanza protetti, evitate i colpi bassi». Le barche si incrociano: il primo a cadere in acqua è Lissandro Bonigolon dei Nicoloti. Molti sono stati i passaggi e molte le urla d’incitamento da parte degli spettatori che affollavano le fondamenta. Arrivati alla finale il vincitore è Bepi Canocia dei Nicoloti. E dopo la disfida la festa continua con il Gran ballo dei Campioni e il Fresco notturno in barca. Per l’occasione, la Calza aveva ricostruito un modello settecentesco della Peota solazziera, una grossa imbarcazione adibita al piacere di andar per acqua divertendosi e pigliando il fresco. Una sorta di salotto galleggiante dove gli Antichi facevano festa, mangiavano e danzavano.

1984 - Festa in campo per la nascita e il battesimo di Zanzorzi Zancopè

Pubblico e privato spesso si mescolano nella storia degli Antichi. Così quando nasce Zanzorzi Zancopè, primogenito del Priore della Calza Paolo Emanuele Zancopè e di Judith Jurubeba Souza Bomfim, si decide di far festa in pubblico, nel familiarissimo campo San Maurizio, che è ormai diventato la casa all’aria aperta degli Antichi. Così la nascita di Zanzorzi viene festeggiata domenica 22 luglio 1984. «Un bel tavolone in campo San Maurizio con tutti i commensali a mangiare e bere in allegria secondo le antiche usanze veneziane – racconta Il Gazzettino del 23.7.1984 – e vicino tanto di leggio, candelieri e tappeto a significare ancora meglio questo tentativo di recupero popolare operato dalla Compagnia per festeggiare la nascita del primo calzetto, Zanzorzi. Cuochi della serata i compagni de calza Albino e Bruno Costantini, buranelli, che hanno preparato piatti di pesce secondo le tradizioni dei pescatori della laguna. Pasticcere Franco De Cal, specialista nella tradizione dei biscotti». Sabato 22 settembre si replica, sempre in campo, per il battesimo. «Per mio figlio ho voluto tirar fuori una vecchia usanza, quella di ricevere in campo – spiegava il Priore – e quindi di usare lo spazio esterno per una festa privata ma con fruizione collettiva». Quindi dieci metri di tavola imbandita davanti alla sua bottega di antiquario, baccalà mantecato, sottaceti, porchetta, mortadella, montagne di pane e ruote di formaggio, caraffe di rosso e di bianco, e alle spalle tre torce ardenti di buon augurio. Tanti compagni de calza e alcuni ospiti illustri, tra cui l’assessore Edoardo Salzano – informava Il Gazzettino del 24.9.1984 – e l’ingegner Orazio Bagnasco con la consueta corte di vip e belle signore».

1984 - I Antichi comprano all’asta i sonetti di Baffo

Ancora un colpo grosso per gli Antichi. «Alle 10.55 di ieri la Compagnia de Calza si è aggiudicata i quattro volumi di un’edizione rara della Raccolta universale delle opere di Giorgio Baffo, edizione Cosmopoli, anno 1797, carta colore azzurrino, rilegatura signorile» annuncia Fiorello Zangrando su Il Gazzettino del 9.12.1984. Nella sala delle aste di Franco Semenzato si sono presentati in sei, con tanto di paludamento cinque-sei-settecentesco e dobloni di cioccolata, intenzionati a spuntarla contro le offerte di altri acquirenti venuti da fuori e abbastanza agguerriti. Ma loro ce l’hanno fatta. Si è cominciato con un prezzo base di 250mila lire per finire, con un’escalation che non è durata più di due minuti, a quota un milione e 750mila. «A metà aula – racconta Il Gazzettino – stavano seduti, tra dame in bauta e cavalieri con cappello piumato, il doge dei Nicoloti Mario Andreoli, vellutato e solenne, con a fianco l’araldo ufficiale, il principe don Massimo Silvestri di Creta. «Anche a costo di compiere un gesto clamoroso – ha detto – siamo qui per cercare di evitare un’ulteriore fuga di opere che sono di stretta pertinenza della città storica».

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